Questo
post è dedicato alla mia amica Lucia, persona luminosa di nome e di fatto e in secondo luogo a quanti hanno deciso di continuare a vivere in Italia senza
rassegnarsi di fronte a quanto accade nel Belpaese.
Oggi è giunto il momento di affrontare un argomento diverso dai soliti trattati
in questo blog, perché va bene dedicare attenzione ad arte e cultura ma viviamo
calati in un contesto sociale, in un Paese, anzi nel Belpaese. Abbiamo in altra sede accennato a una certa insofferenza verso l’inefficienza
del sistema Italia, che obiettivamente e per coerenza va riconosciuta. Non si
può amare il proprio Paese di amore cieco, è un grave errore, a mio parere, e
un atteggiamento che compromette qualsiasi critica costruttiva, azioni, e proposte
di miglioramento e rinnovamento di un Paese fermo, immobile non da pochi lustri
o decenni ma da tempo immemorabile.
Ora queste riflessioni sono frutto di accadimenti recenti avvenuti nella città
di Roma a proposito dell’uso dei mezzi di trasporto pubblico, ma non solo, e non
sto qui a tediarvi con i particolari. La logica conclusione a cui sono giunta è
che una Capitale che è un vero e proprio scrigno di preziosi per il patrimonio
artistico e culturale che custodisce non può sottoporre cittadini e turisti a
costanti disservizi del trasporto pubblico, sfidando e mettendo quotidianamente
a dura prova la loro pazienza.
Certo questo non è un problema unicamente romano, se si parte per il Sud, la
situazione non cambia. La Calabria e la Sicilia hanno dei collegamenti a dir
poco penosi. Ci sono spiagge e mari del Sud che per bellezza non sono inferiori
ad altre mete ben più famose, costose e gettonate. Perché isolarle dal resto
del mondo? Perché non investire sul turismo, una delle maggiori risorse di
questo Paese?
Lo stesso dispiacere lo provo di fronte all’incuria in cui versa Napoli, città
dove ho vissuto per un periodo e in cui torno sempre volentieri perché non ha nulla
da invidiare a Roma in fatto di bellezze.
Mi pongo quindi da sempre la questione su chi, cosa, quando e come addebitare e
distribuire colpe e responsabilità. Cattiva gestione e amministrazione? Una
mentalità clientelare e del compromesso? E poi, non si possono omettere, le azioni
illecite e mafiose?
La politica mi ha disillusa da svariati anni. Oggi la televisione la vedo, ma
non la guardo, a parte qualche programma di qualità o scacciapensieri
naturalmente. Mentre un tempo seguivo programmi di politica e dibattiti
relativi. Una volta rimasi perplessa, la memoria non mi assiste nel ricordare
la data precisa, quando nel salotto buono domenicale di Anna La Rosa, Piero
Fassino ha dichiarato che la felicità delle persone, nella fattispecie i
cittadini, non può dipendere dalla politica, ma da altro (realizzazione
personale, affetti, vicende private insomma). È una frase estrapolata dal contesto,
lo so, ma così mi è rimasta impressa e, per contro, mi è venuta in mente la Dichiarazione
di Indipendenza Americana che aveva riconosciuto la felicità delle persone come
un diritto, mentre nel 1968 in un discorso di Robert Kennedy tenuto presso l’Università
del Kansas, il politico dichiarava che il PIL non è un indicatore del benessere
delle nazioni sviluppate ma ci vuole ben altro.
Tornando a monte del discorso sulla politica italiana, tempo fa ho letto con vivo
entusiasmo La Politica e il labirinto,
di Luciano Violante, Bompiani, 1997. Ne ho condiviso il discorso, la validità
dei contenuti, l’esposizione dei valori. Oggi questi discorsi, e lo dico con
rammarico, dove trovano applicazione, dove sono finiti?
Di recente mi sono riavvicinata ai libri che trattano di politica. Ho letto La libertà individuale come impegno
sociale, di Amartya Sen, economista e filosofo indiano, Premio Nobel per l’Economia
nel 1998, un’edizione distribuita gratuitamente presso le librerie Arion in
occasione del 25 Aprile. La cosa a mio parere più rilevante contenuta in questo
libro è che la libertà individuale e la realizzazione dei cittadini di una
nazione dipendono anche dall’assetto sociale in cui vivono, dalle istituzioni e dalle scelte politiche.
Infine, durante un altro dei miei sopralluoghi in libreria, l’occhio è caduto su Odio gli indifferenti, di Antonio
Gramsci. Avevo bisogno di risposte a questo comune e diffuso disagio sociale,
mi è bastato leggere l’indice, la quarta di copertina, sfogliare alcune
pagine (mai l’ultima, non leggo mai la pagina finale quando scelgo un libro) e
mi sono convinta di potere avere un’opinione valida e un pensiero affidabile a
cui far riferimento.
Questa estesa considerazione conterrà affermazioni e cose già dette o sentite, da condividere o meno, e che forse si è anche stanchi di ascoltare, ma è stata fatta in nome della libertà di espressione e
di opinione e credendo che, nonostante la mia disillusione, la buona politica
possa ancora essere in grado di migliorare le condizioni e la qualità di vita dei cittadini che
hanno sì doveri nei confronti dello Stato, ma ricordiamolo, anche dei diritti.
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